Buona fortuna by Barbara Fiorio

Buona fortuna by Barbara Fiorio

autore:Barbara Fiorio [Fiorio, Barbara]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa, Generica
ISBN: 9788804625384
Google: lNf-wPRvhzcC
editore: MONDADORI
pubblicato: 2013-02-04T23:00:00+00:00


25

Un padre antifascista emigrato in Argentina per garantire un futuro benestante ai figli, una madre rimasta in Europa perché incinta, accolta dalle cognate in Svizzera per portare a termine la gravidanza e la propria vita dando alla luce una bimba che sarebbe stata allevata dalle zie parlando francese e piemontese. Questo è stato l’incipit di Caterina, Caterinella, Nella.

All’età di dieci anni, una zia la porta a Buenos Aires per farle conoscere il padre che, nel frattempo, aveva raggiunto l’apice della propria carriera come decoratore al Teatro Colón, non c’era scenografo che non si rivolgesse a lui per rifinire i dettagli dei più imponenti fondali. Lì la piccola Nella impara lo spagnolo e a conciar pelli fino a smettere di vomitare per la puzza degli acidi ma senza smettere di andare a scuola e studiare abbastanza da diventare, appena maggiorenne, una giovane commessa di libreria.

Nel frattempo la fine della guerra, la morte di Mussolini e una struggente nostalgia per il paese natio fanno venire a suo padre la voglia di tornare a casa, nel biellese, a Cà di Bunard, dove ricominciare a parlare piemontese e ricostruire l’Italia per i pochi anni che la vita decide di concedergli.

A ventiquattro anni Caterina conosce Adolfo, un giovane imprenditore di Cossato che rimane folgorato dalla bellezza di quella giovane donna e dalla sua fragilità di orfana sballottata dalla vita tra nazioni e continenti. Era l’anno del primo Festival di Sanremo e di Grazie dei fiori, lei ne ricorda ancora tutte le parole. Si incontrano in una balera di Biella, ballano per tutta la sera e non smettono di farlo per i successivi cinquant’anni.

Due anni dopo quell’incontro si sposano ma il figlio non arriva subito. «C’erano così tante canzoni da ballare» scherza lei.

Devono prima perdere tutto e ricominciare una vita a Genova, una città nuova e sconosciuta dove inizialmente condividono una stanza con un’altra famiglia, in via San Vincenzo. «Vicino al panificio» ricorda lei, «la sera ci regalavano i panini avanzati, quelli un po’ più secchi, che non avrebbero potuto vendere il giorno dopo. Non molti, ché a loro servivano per fare il pan grattato da vendere nei sacchetti, ma abbastanza da mangiare in cinque.»

Non erano più in campagna, non potevano più contare sulle verdure dell’orto, sulle uova fresche o sul latte appena munto. Era la vita di città, con poco verde, poco cibo e un progresso industriale a cui star dietro.

Nel 1957 ottengono la licenza per la ricevitoria e subentrano all’anziano gestore della Numero Tre, dove Adolfo lavorava da un paio d’anni.

«Sai, non era mica facile avere quella licenza. È importante l’onorabilità, ti controllano la fedina penale e solo se la questura rilascia il nulla osta allora il Governo può decidere di concederla. È gioco d’azzardo, è monopolio di Stato, girano molti soldi, bisogna garantire di essere persone serie e affidabili.»

Non avevo mai pensato a questo risvolto del mondo delle ricevitorie, mi sono sempre limitata a domandarmi per quale ragione mettano sui pacchetti di sigarette il memo di rischio mortale in caratteri smisurati e permettano pubblicità d’ogni sorta sui vari modi per bruciarsi la pensione e i pochi risparmi.



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